Escursioni a la Pignara
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Escursioni a la “Pignara”
“Lu Bagnu sutta la Briglia de Riola”
Adesso, voglio sedermi su una di queste nuove panchine del Passo per guardare più attentamente ciò che ha trasformato questo mio paese.
Se hai voglia di ascoltarmi ancora, ti posso far notare qualche altra cosa caratteristica di questo piccolo centro, soprattutto riguardante la conformazione del paesaggio che, in linea di massima, ha conservato la sua struttura originaria.
Sorta “tra due fiumi”, come si decanta quando si parla dell’antica Mesopotamia, Curinga prende forma partendo dal rione Gallicinò, compreso tra due corsi di acqua, quello che scende dal rione Ospizio, e quello che scorre sotto Piazza Immacolata, ormai prosciugati o quasi.
Continuò a svilupparsi a mo’ di Terrazze, volgendo il suo sguardo sempre più verso il Golfo di Sant’Eufemia.
Sorsero così il Rione Piatrapiana, protetto dal muro di contenimento posto sotto casa Orlando; Il Rione San Francesco, protetto anch’esso dal muro di contenimento di Piazza Marconi (Pruscinu); sorsero a seguire Via Roma e Gornelli, protetti dai muri di sostegno di Sottovia e di Notarcola.
Non a caso al di sopra di questi ultimi muri sorsero altri rioni come ad esempio quello della “Gabina”, sorto sull’omonimo muro di sostegno, o quello di San Giuseppe e San Rocco sorti ancora più in alto e sorretti dai muri già citati di Pruscinu e Notarcola.
Sono recenti i rioni sorti in zona circonvallazione ed un po’ meno recente quello sorto al Piano delle Aie, zona posta alla sommità del paese, pressoché pianeggiante e molto più consona alle nuove costruzioni abitative che debbono oggi, soddisfare esigenze non richieste alle abitazioni dei miei tempi.
Costruzioni in cemento armato, Villini con Garage e giardino attorno che spesso diventa il piccolo orto intorno casa utile a produrre frutta, odori e verdura di immediato consumo.
Piantine di pomodori, piantine di insalata, piante da frutto, sono le piante che maggiormente arricchiscono oggi il retro della casa e che si rendono utili all’economia generale della famiglia.
I tempi sono ormai diversi rispetto a quelli da me vissuti, sia negli usi che nei costumi, ma soprattutto nelle esigenze di vita, essenziali e ridotti al minimo nei tempi che ti ho raccontato, esagerati e tendenti all’eccesso quelli che oggi stiamo vivendo.
Ti ho raccontato di pasti fatti sostanzialmente di sole verdure raccolte nei campi e cresciute spontaneamente miste a legumi prodotti nei propri orti, così come ti ho raccontato di Fichi secchi che assolvevano alla loro funzione alimentare in modo efficace ed essenziale.
Anche di soppressate e salumi in genere che costituivano, di anno in anno, il companatico da consumarsi sul posto di lavoro da parte dei contadini e non solo da essi.
Oggi, i Ristoranti di “Classe”, offrono aperitivi ed antipasti a base di affettati, con possibilità di scelta sul primo piatto “mare – monti” e secondi piatti a base di pesce o di carne rossa o bianca.
Contorni di insalata verde o mista, vini bianchi o rossi di altissima qualità, frutta di stagione e . . . dessert finale con caffè e amaro a corredo che chiudono il pasto.
Chi avrebbe mai potuto immaginare cose del genere quando ancora era difficile sbarcare il lunario?
La colazione si faceva in casa con un surrogato di caffè fatto di Orzo ben tostato e macinato dalle nostre mamme, brave nel curarne la tostatura fatta in appositi contenitori a forma di padella chiusa, accessibile attraverso una finestrella ermeticamente chiusa da uno sportellino e da una manovella che bisognava girare durante la tostatura per evitare di farlo bruciare.
Nonostante tutto, si cresceva e si era forti e pronti per ogni tipo di lavoro, soprattutto manuale da eseguire nei campi.
Quando liberi da impegni di lavoro o scolastici, era libera uscita generalizzata per tutti i ragazzi che si cimentavano in giochi più o meno pericolosi, in escursioni tra le campagne vicine più o meno fruttuose, in scorribande più o meno legali e rispettose delle proprietà altrui.
Il primo caldo dei mesi di Maggio e Giugno, ma anche a settembre, invogliava i ragazzi a recarsi al Fiume per farsi il primo bagno, nudi, “nta la Gibba, sutta la Briglia de Riola”.
Ed era un rincorrersi per questi viottoli di campagna con “dovute” fermate a la Pignara, per raccogliere Pigne, o a la ”fhicara Zifhula” de Triccannali, o a Ciliege (Napoletane) a Riola, “nta lu Zziu Vitu”.
Diventavano spesso giochi pericolosi, e l’annegamento di un ragazzo mentre si faceva il bagno sotto la Briglia, ne è conferma di quanto ti sto raccontando.
Giulio De Vito, ragazzo di età non superiore ai quindici anni, rimase intrappolato dalle correnti d’acqua che lo hanno trascinato giù, impedendogli la risalita per respirare ed è rimasto quindi senza vita sul fondo.
Fu recuperato da Antonino Gaudino, all’epoca Ufficiale di Marina Militare, in permesso temporaneo al paese, che legatosi con una lunga corda, si immerse nell’acqua e, dal fondo ha portato in superficie il corpo esanime del malcapitato ragazzo.
Al rientro in servizio sulla Nave Garibaldi ormeggiata a La Maddalena in Sardegna, difronte all’intero equipaggio schierato in alta uniforme in coperta, ricevette un Encomio Ufficiale da parte del Comandante, che ha reso con questo, giusto riconoscimento al gesto umanitario e altruistico cui si è esposto il Gaudino.
Le escursioni dei giovani ragazzi non si limitavano alla sola immersione nelle acque gelide della Fiumara di Turrina, ma si diversificavano rastrellando e mettendo a tappeto tutto il territorio dei dintorni.
Questi luoghi diventavano quindi campi di gioco e luoghi di sfide, a volte pericolose ed inaudite.
Salire sopra “la Pignara” per raccogliere pigne, ad esempio, era cosa apparentemente impossibile, ma resa possibile da chi si inerpicava prima su una pianta d’ulivo vicina, saltava per aggrapparsi con forza ad un ramo della pianta di Pino, ed il gioco era fatto.
Si trovava in un baleno sopra la pianta andando a scuotere direttamente con le sue mani quelle pigne che erano difficili da buttare giù con sassate scagliate da terra.
Tieni presente che questa pianta, per crescita e per altezza, non era paragonabile a nessuna delle altre piante presenti nei dintorni, perché ci si trovava ad una altezza di sessanta - settanta metri da terra, con a rischio di caduta e di conseguente perdita di vita.
Questi personaggi temerari esistevano, ed erano considerati “Eroi” da parte degli altri facenti parte del suo gruppo di compagnia; costituiva un sostentamento valido per tutti, nessuno escluso, perché un suo intervento nella raccolta delle pigne, era risolutivo ed accontentava tutti.
Altra cosa erano invece le partite a carte giocate proprio sotto la pianta di fichi stessa, con in palio magari cento fichi, raccolti dalla coppia perdente, e da consumarsi attraverso il gioco del “Padrone e Sotto”.
Questi due personaggi di comando “Padrone e Sotto”, assumevano carica dietro una disputa che avveniva sempre usando le quaranta carte napoletane.
Seguendo le regole base, ogni giocatore alzava dal mazzo un certo numero di carte, svelando l’ultima, che stabiliva, nel suo valore massimo, chi tra i giocatori doveva distribuire le carte.
Il designato distribuiva quattro carte per ogni singolo giocatore, il quale doveva ingegnarsi per formare con queste, un punteggio massimo e possibilmente superiore a quello degli avversari, che gli consentisse di vincere e quindi di diventare il “Padrone”.
Si facevano due giri di distribuzione di carte, con possibilità per ogni singolo giocatore di potere scartare le carte da lui ritenute inutili e richiedendone altrettante al giro successivo.
La composizione finale del punteggio si misurava attraverso la valutazione del Colore (fhrusciu, tutte le carte di uno stesso seme), della Premiera o, in alternativa con ciò che si avvicinasse di più a queste possibili soluzioni.
Il miglior punteggio, stabiliva il “Padrone”; il secondo miglior punteggio il “Sotto”, costituendo così la coppia che gestiva il frutto della vincita.
La regola di partenza stabiliva che i giocatori perdenti non potessero assaggiare i fichi raccolti, se non dietro invito e concessione da parte del Padrone e del Sotto.
Poteva anche capitare che i perdenti fossero poi il Padrone ed il Sotto del momento, ed in questi casi, maturava la vendetta perfetta, consistente nel non fare assaggiare i fichi agli avversari vincenti.
Raccolti da loro e, da loro interamente consumati, costituiva la vendetta perfetta per la coppia perdente.
Rivalità di coppia, portavano anche al consumo totale del frutto della vincita da parte del Padrone, senza neanche un minimo assaggio concesso per il “Sotto”, se non quello dovuto da regola di gioco, e niente per gli altri partecipanti alla partita.
Il peggio succedeva quando, sul più bello, arrivava il proprietario della pianta e del terreno sul quale si stava svolgendo la partita; era in questi casi un fuggi fuggi generale, che portava nel giro di pochi minuti a disperdersi e a ritrovarsi in tutt’altra località molto distante da quella di partenza, riprendendo in questa, l’opera che stavano svolgendo, e comportandosi come se niente fosse successo.
Se necessario, si ricomponeva sul nuovo posto il quantitativo di frutta in gioco, e si riprendeva dal punto dove si era rimasti.
Spesso, queste azioni di prepotenza, si concludevano a sera, al rientro a casa, con una sculacciata da parte dei genitori ai propri figli, quando venivano informati dell’accaduto da parte di chi ha subito il sopruso. Il giorno dopo ricominciavano come se niente fosse accaduto ripetendo il rituale di sempre.
Mi è stato raccontato, e voglio adesso ripetertelo, un fatto che si è verificato in occasione del passaggio del Giro d’Italia dalla SS 19, (Bivio Ponte Turrina di Curinga) e che si è concluso in modo originale e particolare.
Non c’era certezza sull’orario di transito dei ciclisti da questo luogo, che provenivano da Reggio Calabria per dirigersi verso Catanzaro dove si concludeva la tappa della giornata.
Un nutrito gruppo di ragazzi appassionati e tifosi di Coppi e Bartali, di
buon’ora si dirige a piedi verso questa località, contenti di poter vedere per un attimo e da vicino, i loro idoli del momento.
Arrivarono sul posto molto prima che si svolgesse l’evento, ed il gruppo decise di fare la solita escursione nelle campagne vicine, in cerca dei soliti frutti di stagione, non solo per ammazzare il tempo ma anche per sopravvenuta fame.
Ciò che doveva essere una normale e tranquilla scampagnata su terreno di proprietà dei genitori di uno appartenente al gruppo, si rivelò una malaugurata escursione perché vengono sorpresi dal vero proprietario che, approfittando della confusa discesa dall’albero da frutta, riesce ad acchiapparne un paio, e decide non di menarli come i malcapitati si aspettavano, ma di rinchiuderli a chiave dentro una casupola che fungeva da deposito attrezzi da lavoro.
Arriva il mezzogiorno, passano i corridori, si conclude la corsa, siamo già nel tardo pomeriggio, e questi due, digiuni e senza alcuna possibilità di potersi conquistare la libertà da soli, sono ancora rinchiusi a chiave dentro la casa colonica.
Solo a tarda sera, quando ha finito la sua giornata lavorativa, il proprietario si ricorda e libera questi ragazzi che, al buio rientrano a casa trovando i loro genitori preoccupati ed in subbuglio, per non averli visti in giro per una intera giornata.
Inutile dirti qual è stata la conclusione finale di questa storia, perché immagini da solo che non potevano che essere botte da orbi, al fine educativo e correttivo per un comportamento non consono alla buone regole del vivere civile.
Ulteriori giochi da ragazzi:
La Campana, Lu Zzugghu, A lu Ppà, Giro d’Italia, Batti muru.
La mancanza di mezzi di comunicazione portava i ragazzi in mezzo alla strada, non nel senso che si trovavano allo sbando, ma nel senso che in mezzo alla strada, con poco o niente, riuscivano ad inventarsi il gioco del momento per passare in compagnia ed in assoluta tranquillità un buon pomeriggio di sole e . . . all’aperto.
Giocare era un modo per crescere ed un modo per interagire con i compagni e coetanei anch’essi disposti a trascorrere serenamente un po’ del loro tempo libero.
I giochi del tempo si differenziavano in base all’età dei ragazzi, al sesso e alla disponibilità o meno di determinati oggetti di gioco che, per determinati giochi costituivano poi, l’oggetto del contendere nel gioco stesso.
Mi spiegherò meglio più in avanti.
La Campana.
Un gioco prettamente femminile era il gioco della “Campana”
Per le ragazze era sufficiente un piccolo spazio pianeggiante per disegnarvi sopra, con un pezzo di tegola rotta, degli opportuni rettangoli o quadrati numerati che costituivano le caselle entro le quali bisognava far cadere una pietra, più o meno piatta, per poi andare a recuperarla saltellando su un solo piede o poggiandoli entrambi per terra a seconda della disposizione e della numerazione, senza toccare le righe perimetrali dei rettangoli stessi. In questi casi, la penalità consisteva nell’estromissione temporanea dal gioco a favore della successiva giocatrice del gruppo precostituito.
Ogni recupero della pietra piatta precedentemente lanciata doveva essere seguito da un ritorno alla base di partenza.
Penalità costituiva anche una possibile caduta nell’attraversare le varie caselle od anche il poggiare una mano per terra nel tentativo di riconquistare l’equilibrio od infine, la posizione della pietra lanciata qualora questa si posizionasse a cavallo di una delle tante righe del campo di gioco.
Le caselle, opportunamente numerate, dovevano essere superate tutte, pronunciando a voce alta il numero della casella attraversata in quel momento e senza commettere alcuna infrazione.
Il giro di tentativi per superare l’intero riquadro disegnato per terra, si ripeteva numero dopo numero, fino a quando uno dei componenti il gruppo non avesse superato tutte le caselle preposte al gioco.
Subentrava un secondo, un terzo . . . ed eventuali altri giocatori, ogni qualvolta uno di loro commetteva, durante il suo turno di percorrenza, una delle infrazioni sopra citate.
Il riquadro poteva essere più o meno lungo in base allo spazio disponibile così come anche le caselle potevano essere grandi o piccole in base alla disponibilità di spazio utile al gioco.
La loro disposizione dipendeva solo dalla decisione del gruppo; in ogni caso, una Campana già disegnata sul terreno, era buona per poterci giocare senza apportare alcuna modifica.
Gioco della corda.
Un altro gioco prettamente femminile era il gioco della corda.
Questo gioco poteva essere svolto da singoli giocatori, fatto quindi per semplice divertimento, o poteva essere giocato in gruppi.
Si poteva bonariamente giocare anche in tre, stabilendo la passibile rotazione delle giocatrici nel gioco stesso.
In ogni caso, due ragazze erano preposte a fare ruotare la corda facendogli compiere ampi cerchi, all’interno dei quali, una terza ragazza saltava proprio nel momento in cui la corda passava sotto i suoi piedi.
Non riuscirci equivaleva ad uno sbaglio che consentiva uno scambio di giocatrice: una delle due che facevano ruotare la corda andava a saltare, ed il suo posto veniva preso dalla giocatrice che aveva appena sbagliato intercettando la corda.
Si usava spesso accompagnare i salti con delle cantilene ripetute costantemente durante i salti. In realtà si trattava sempre di nomi di frutta, (Pero, Arancio, Nespolo e Melo) e a ciascuno di questi nomi veniva associata una giocatrice.
Una di queste entrava in gioco in base al nome pronunciato proprio nel momento dell’errore commesso.
Palla a muro
Ricordo un’altra filastrocca recitata mentre si faceva rimbalzare ripetutamente una piccola palla al muro con una sola mano, ma anche cambiando mano durante la stessa partita.
Si recitava: Palla pallina, dove sei andata, dalla nonnina, cosa hai portato un’altra pallina, dove l’hai messa, nella taschina, falla vedere, eccola qua.
Se la palla cascava a terra durante questa filastrocca, cambiava giocatrice.
In un’altra versione, ogni giocatore doveva lanciare la palla contro il muro eseguendo le azioni elencate in una filastrocca recitata con ritmo regolare e costante.
Chi sbagliava la sequenza della tiritera o si lasciava sfuggire la palla, doveva fermarsi e consegnare la palla al giocatore successivo.
Il giocatore recitava:
Muovermi - (lancio la palla muovendo il corpo), Senza muovermi - (lancio la palla stando fermo), Senza ridere -(lancio la palla evitando di ridere mentre gli altri provano a indurmi al riso), Con un piede - (lancio la palla e alzo un piede), Con una mano - (lancio la palla con una sola mano), Con Battimano -(lancio la palla e batto le mani), Zigo zago – (lancio la palla e batto le mani davanti e dietro), Con un bacino – (lancio la palla e mando un bacino), Tocco terra – (lancio la palla e batto il palmo delle mani per terra), La ritocco – (lancio la palla e tocco terra di nuovo), Mulinello – (lancio la palla e ruoto un braccio), Violino – lancio la palla e faccio finta di suonare il violino, Sotto gamba – (lancio la palla da sotto una gamba).
Lu Zzugghu”
Gli stessi spazi potevano essere occupati anche dai ragazzi per giocare “A lu Zzugghu”.
Si disegnava una linea più o meno dritta sul terreno, e su questa, si disponevano verticalmente li “Zzugghi”, pezzi di mattone o di tegola rotta di piccole dimensioni; di solito uno per ogni giocatore.
Ogni giocatore disponeva non solo del pezzo disposto in fila, ma anche di un altro pezzo di mattone, possibilmente piatto:“La Staccia”.
Per stabilire l’ordine di tiro, si faceva la conta tra i giocatori, ci si posizionava spalle alla riga di posizionamento “de li Zzugghi”, e si lanciava la “Staccia” più lontano possibile.
Il diritto di tirare per primo, spettava a chi era riuscito a posizionare la sua “Staccia” più lontana possibile sia rispetto alla linea “de li Zzugghi”, sia rispetto a quelle degli avversari.
In pratica si trattava adesso di recarsi sulla posizione occupata dalla propria staccia, e con questa mirare sulla fila inizialmente predisposta cercando di buttarne giù quanti più “Zzugghi” possibile, sfruttando magari un effetto domino.
Vinceva il gioco colui che riusciva a buttare giù più Zzugghi rispetto a tutti gli altri concorrenti.
Lu Ppà
Un gioco in voga tra i maschietti era anche quello che metteva in gioco un certo numero di Bottoni tra i partecipanti al gioco.
Ognuno disponeva e metteva in gioco i propri Bottoni, uno per volta o più bottoni contemporaneamente in base agli accordi.
Dopo opportuna conta, il risultante del conteggio acquisiva il diritto di giocare per primo.
Si disponevano i Bottoni su un gradino di casa (per terra, sul cemento, o supra nu mignanu), ed il preposto doveva cercare di capovolgere il verso semplicemente con uno sbuffo d’aria emesso dalla bocca con forza, a gote gonfie e a bocca socchiusa, indirizzato proprio sui Bottoni.
Diventavano suoi tutti quelli che riusciva a capovolgere; subentrava il giocatore successivo qualora col suo sbuffo non riusciva a capovolgerne nemmeno uno.
Puoi capire che, in questo periodo, anche i bottoni avevano la loro importanza e spesso per rifarsi, venivano sacrificati anche quelli dei pantaloni o giacca indossati in quel momento.
C’erano poi le varianti di questo gioco nel senso che i bottoni potevano essere sostituiti dai tappi di Birra (Tappi Corona), o addirittura dalle prime figurine dei Calciatori del tempo.
Anche la modalità di gioco poteva essere diversa perché lo sbuffo, si sostituiva con il soffio di aria ottenuto dalla mano posta a coppa e sbattuta violentemente sul terreno in prossimità dei Bottini, dei Tappi o delle Figurine in gioco.
Giro d’Italia
I Tappi Corona delle Birre e le piccole Biglie in Vetro colorato, venivano usati nel gioco del Giro d’Italia.
Anche in questo gioco si trattava di disegnare sul terreno un percorso che prevedesse una partenza, un giro più o meno lungo e tortuoso, una boa di ritorno fatta a forma di cerchio con un ostacolo nel centro, e un ritorno che ripercorreva lo stesso percorso di andata.
Il percorso, visto che non tutte le strade erano asfaltate, prevedeva dei percorsi larghi non più di venti-trenta centimetri, con la carreggiata delimitata da terra rialzata a mo’ di muretto che costituiva i limiti del percorso obbligatorio per ogni concorrente.
Al Mare, sulla sabbia, il percorso si costruiva con un ragazzo seduto sulla sabbia e trascinato dai piedi da un suo compagno.
Il Tappo (o la Biglia in vetro), doveva essere spinto col dorso del dito medio contrapposto al pollice e fatto scattare con forza.
L’abilità consisteva nella forza da imprimere al dito per poter calibrare la spinta qualora bisognasse superare una curva, magari a gomito.
In questi frangenti si richiedeva la massima abilità del giocatore perché, chi faceva uscire dal percorso il Tappo, doveva per pegno, rimanere fermo un turno nel posto in cui si trovava prima di commettere l’infrazione. Vinceva chi riusciva a coprire il percorso prima di tutti gli altri concorrenti.
Capirai che, a fine giornata, o a fine partita, soprattutto nel caso in cui il percorso era tracciato su sabbia e l’attrezzo con cui si giocava era costituito da una Biglia, il dito medio era sicuramente indolenzito se non addirittura nero per i grumi di sangue che si formavano su di esso.
Il gioco del Batti Muro
I ragazzi più intraprendenti e quelli più spregiudicati, erano soliti dedicarsi anche al lavoro retribuito semplicemente trasportando calce al mastro muratore, od anche perlustrando i viottoli di campagna nel tentativo di racimolare il “Chiloccio”, cioè quel quantitativo di olive raccolte proprio in mezzo alle strade di campagna, che, rivendute, fruttavano dei soldi.
La raccolta di ferri vecchi e lattine d’alluminio completavano le merci commerciabili con possibile guadagno di danaro.
In Villa, nel Passo, in piazza San Francesco o altrove, era solito incontrarsi per giocare a batti muro.
E’ evidente che non tutti se lo potevano permettere, anche perché la maggior parte dei “piccoli commercianti” in olive, ferro e alluminio, i soldi guadagnati preferivano spenderli per comprare, come a suo tempo ti ho detto, i giornaletti dell’epoca.
In ogni caso, chi si cimentava in questo gioco, era consapevole che era possibile anche perdere ciò che faticosamente aveva guadagnato.
Si individuava un possibile muro integro, si operava la solita conta, ed il designato iniziava il gioco per primo.
Si trattava di far sbattere la moneta messa in palio fortemente al muro in modo tale che la stessa andasse a finire più lontano possibile dal maro stesso.
A questa operazione si sottoponevano tutti i partecipanti col risultato finale che, vinceva l’intera posta in gioco chi era riuscito a far cadere la sua moneta più lontano rispetto a tutte le altre.
Spesso questo gioco finiva nel pianto del perdente.
L’alternativa al Batti Muro, era spesso il gioco del Volo; in pratica i soldi venivano rimescolati “Sguazzati” nelle mani messi a mo’ di salvadanaio da uno dei due giocatori, che li rigirava sonoramente per un po’ per poi farli cadere per terra subito dopo che l’altro giocatore si fosse pronunciato su una delle due facce delle monete.
Le possibili scelte erano in ogni caso due, Testa o Croce, per cui, fatta la conta dei soldi caduti per terra, ognuno dei contendenti si impossessava delle monete che si trovavano nel verso da lui scelto.