Una Antica Pasticceria Sarti e Trappetani
- Dettagli
- Categoria principale: ROOT
- Visite: 1571
I Partiti Politici, L'antica Pasticceria,
Matrimonio fatto in casa

Quest’attività artigianale si tramanda dal capostipite della famiglia Giov. Battista Vono dal 1800 come recita lo slogan pubblicitario “Una dolce tradizione di famiglia che dura sin dal 1800”. Le Specialità Dolciarie Artigianali a base di Mandorla costituiscono ancora oggi richiamo non solo per i locali ma anche per i forestieri che in occasione delle feste si avvicendano per comprare il famoso Torrone Artigianale di Luccio.
Il ricordo che mi rimane di questo bar è anche legato all’annessa sala biliardo quasi riservata alla gente bene di Curinga.
Ora, come ai vecchi tempi, ho voglia di gustare un buon caffè accompagnato dai fragranti pasticcini e intanto vorrei parlarti delle tradizioni politiche.
Pensa che l’argomento di conversazione preferito e più frequente tra gli uomini riguardava la politica in qualsiasi luogo; dalla piazza, al bar, dal barbiere e … perfino sul posto di lavoro.
Soprattutto le vicende della politica locale erano molto sentite e partecipate, ma non si trascurava nemmeno di parlare di politica di più alto livello … non dimentichiamo che Curinga ha avuto i suoi consiglieri provinciali, deputati e anche senatori.
Le sezioni dei maggiori partiti dell’epoca - Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista e Movimento Sociale - avevano la sede proprio nella piazza principale o, quantomeno vi si affacciavano e nei periodi di campagna elettorale dai vari balconi era un susseguirsi di “comizi” rivolti alla popolazione che affollava la piazza.
Erano momenti di aggregazione ma anche momenti in cui si esasperavano i rapporti tra i cittadini appartenenti a correnti politiche diverse specie in occasione delle elezioni amministrative.
Nel tempo alla guida dell’amministrazione comunale si sono succeduti i Comunisti poi i Democristiani e quindi i Socialisti.
Attualmente il comune è governato da una lista autonoma.
All’epoca inoltre si erano creati vari gruppi di aggregazione a sfondo socio-politico quali: Martin Luter King, Centro sociale Kennedy, Gruppo giovanile Comunista, Stella Rossa, l’ARCI, il Gruppo di Azione Cattolica, le ACLI e sicuramente qualche altro che adesso mi sfugge.
Tutti, con lo scopo sociale di coinvolgere i giovani e renderli attivi e interessati ai problemi politici e sociali.
Un particolare curioso.
La sezione del Movimento Sociale, negli anni di cui ti sto parlando, è stata l’unica a dotarsi di televisore, con l’intento di guadagnare simpatie e consensi, e tutte le sere era possibile assistere alle trasmissioni in onda con un modesto contributo in denaro.
I furbi non mancavano! nel buio, depositavano nel contenitore delle offerte qualcosa che facesse lo stesso rumore delle monete. Qualcuno veniva pure scoperto, e allora era mortificante essere additato dai presenti, ma nessuno veniva poi allontanato dalla sezione.
Proprio qui accanto al bar operava un altro calzolaio “Furciniti”. Cessata l’attività, la bottega è passata al figlio Domenico che l’ha trasformata in Sartoria.
Ancora oggi funziona come Sartoria e quello che vedi al lavoro è il fratello minore Mastro Arcangelo Furciniti, che ha conservato nel tempo “l’arte del cucire” dedicandosi ancora oggi alla confezione degli abiti su misura.
Procedendo per Via Duomo c’era l’Ufficio Postale.
E’ stato diretto per molti anni dalla sig.ra Angela Cefaly, originaria di Cortale, e successivamente anche da altri curinghesi.
L’unico postino era Francesco Bianca meglio conosciuto come “Nuzziatu”, era anche un ottimo telegrafista nonché un Maratoneta eccezionale.
Pensa che a quei tempi il postino svolgeva il lavoro di consegna a piedi, e non solo nel paese ma serviva anche le frazioni montane e marine.
Il postino assolveva un compito molto importante, considerando che la lettera rappresentava il mezzo di comunicazione principale se non l’unico in alcuni ambienti.
La posta arrivava sempre in perfetto orario per cui, tutti coloro che avevano figli che prestavano il Servizio Militare o familiari emigrati, aspettavano puntualmente sull’uscio di casa Nuzziatu che a sua volta, prevedendo lo stato d’animo di chi era in attesa, sventolava l’attesa busta da lontano non appena scorgeva il destinatario.
Con alcune persone ci scherzava facendo credere che era loro arrivato qualcosa di importante e magari si trattava solo di posta pubblicitaria.
Proprio di fronte, in pieno centro vi era il Frantoio “u troppitu” per la molitura delle olive, di Domenico Lo Russo.
Era un frantoio vecchia maniera per cui dopo la macinatura delle olive, bisognava riempire con la pasta prodotta “li Cuoffi o Sportine” (contenitori a sacca circolare), deporli su un “carrello” con asse verticale e centrale, alternarle con “dischi di acciaio” fino a raggiungere la sommità di questo asse.
Si poneva il tutto sotto la “pressa” per la spremitura finale.
Era un continuo via vai di asini carichi di sacchi di olive provenienti da tutte le campagne vicine perché tutti possedevano un grande o piccolo “appezzamento di Uliveto”.
Era un continuo via vai di asini carichi di sacchi di olive provenienti da tutte le campagne vicine perché tutti possedevano un grande o piccolo “appezzamento di Uliveto”.
Tutte le operazioni preliminari alla molitura vera e propria venivano eseguite a mano o, meglio a forza di braccia, era quindi necessaria una buona manodopera.
L’olio della spremitura veniva raccolto in una tinozza e qui l’addetto per competenza provvedeva, con un apposito piatto metallico a separare l’olio che galleggiava sull’acqua.
Il tutto avveniva sotto l’occhio vigile del proprietario della molitura.
Oggi, le ruote del Macinino e l’intera vasca di contenimento, poste nel verde all’ingresso sud di Curinga, richiamano l’operosità della popolazione di questo paese.
Ecco, proprio davanti a noi c’è la Chiesa Matrice, imponente nell’aspetto e dedicata a Sant’Andrea Apostolo Patrono di Curinga.
Le notizie di Archivio fanno risalire la sua costruzione al 1600 mentre nel 1769 esisteva di certo la Chiesa di Sant’Andrea.
Fu distrutta dal Terremoto del 1783 e poi ricostruita dai Curinghesi devoti a Sant’Andrea che, anche in questo caso, con una catena umana lungo il tratto che risale dal fiume fino alla Chiesa e col “passamano”, hanno provveduto alla bisogna del materiale di costruzione.
Ricordo l’Arciprete Bianca e il Parroco degli anni ’50 Don Antonio Bonello che, con amore arricchì gli interni di marmi pregiati e di sculture di notevole impatto artistico.
Di recente è stato il Parroco Don Leonardo Diaco a rinnovare e far restaurare gli interni cercando anche di riportarli all’antico splendore (modificati da un precedente restauro).
Non è stato fatto il preventivato restauro della facciata in quanto trasferito.
Una piccola fabbrica di “cialde per coni gelato” era attiva in questo locale di fronte alla villetta, efficiente e produttiva per i Bar locali e dei paesi limitrofi.
L’attività, che per i tempi era sicuramente all’avanguardia, era di proprietà di Giuseppe Sgromo.
Ora che siamo ritornati in Piazza Armando Diaz, voglio ricordare altre attività che si trovavano sul lato opposto a quello già descritto.
Il Bar di De Sando Tommaso “Tommu”, la Barberia di Sebastiano Frijia “Mastru Bebè”, la Tabaccheria di Don Ciccino Mirenda e la cantina della famiglia De Summa, tutte attività di rilievo.
Il Bar di “Tommu" (De Sando Tommaso) era il ritrovo dei giovani che amavano trascorrere il tempo libero a giocare al Biliardino o al Flipper.
Al Bar era annessa, infatti, una sala dedicata ai giochi per i ragazzi (Biliardini o Calcio Balilla e Flipper).
Accanite sfide personali si svolgevano con relativi e numerosi spettatori che sostenevano l’uno o l’altro amico impegnato al momento.
La Barberia di “Mastro Bebè” rappresentava anche un luogo di incontro per gli appassionati di calcio.
Da un confronto d’idee venivano fuori accanite discussioni con confusione di voci che si sovrapponevano perché ognuno … aveva ragione.
Tutta quest’animazione finiva con cameratismo mentre “Mastro Bebè” continuava imperterrito a svolgere il suo lavoro.
Un altro negozio particolare era il Tabacchi di Don Ciccino Mirenda gestito poi dal nipote Battistino Currado. Attrezzato non solo come tabaccheria ma anche come profumeria, articoli da regalo, cartoleria e attrezzature per “Macchine Fotografiche”.
Il Negozio aveva un aspetto signorile ed era ben ordinato.
Al primo proprietario, “Don Ciccino Mirenda” appassionato di Fotografia, si devono le prime cartoline panoramiche di Curinga.
La cantina della Famiglia De Summa in Piazza Armando Diaz era un altro ritrovo per quelle persone dedite al gioco delle carte.
Apprezzato il vino di produzione familiare ma anche la possibilità di giocare all’aperto e con il pubblico presente.
All’angolo della Piazza sulla sinistra c’era il Consorzio Agrario di don Angelo Currado, ma in realtà era una miscellanea di prodotti che svariava dai generi alimentari agli attrezzi agricoli alle piantine e semenze per gli orti.
Il negozio aveva anche un ingresso su Corso Garibaldi.
Sulla stradina che sale dal negozio Pacileo e quindi alle spalle della piazza c’era il negozio di generi alimentari della famiglia Sorrenti.
Le sorelle Sorrenti svolgevano anche l’attività di dolciere su commissione.
Devi sapere che una volta, i festeggiamenti relativi ai matrimoni, ai Battesimi e alle Cresime si svolgevano in casa (solo alcuni usufruivano della palestra della nuova scuola elementare o della sala parrocchiale) per cui era necessario provvedere alla preparazione del necessario per il rinfresco dopo la cerimonia in chiesa.
Dolcetti alle mandorle, all’anice, alla vaniglia, ma soprattutto il tipico pan di spagna, venivano da queste preparati in grande quantità per poi essere offerti al momento del ricevimento.
Il pan di spagna curinghese, non è quello con cui si fanno le torte oggi, ma ha una lavorazione particolare, e solo pochi che si possono definire maestri, sono in grado di produrlo.
Non contiene lievito ma solo tante uova, pochissimo zucchero e farina e poi, tanta forza e lavoro di braccia.
L’impasto viene messo in opportune forme e cotto nel forno a legna.
Vengono fuori delle altissime ciambellone dorate.
Questo pan di spagna tagliato a fette veniva offerto agli invitati, fatti accomodare nelle varie stanze, da improvvisati camerieri che servivano con “guantiere” colmi di dolci e liquori.
Il gruppo dei “bevitori” si riuniva invece in cucina o nella cantina, dove li attendevano ceste ripiene di “Nicatuli” (molto simili alle Frappe carnevalesche) e abbondante vino locale.
Sarti, Calzolai e Trappetani

Il locale si affaccia su Piazza Armando Diaz ed era possibile dal posto di lavoro vedere ciò che succedeva in questa Piazza.
Il proprietario, responsabile della sede del M.S.I. locale, è stato per lungo tempo preposto all’apertura della sezione del Partito, riferimento importante per i ragazzi del paese perché, come ti ho già detto, era l’unico posto pubblico fornito di Televisore e quindi ritrovo unico per tutti i ragazzi che, il televisore, a casa, non ce lo avevano, ed erano tantissimi.
Sul lato opposto operava da Sarto Giulio Bretti, con uno stuolo di ragazzi apprendisti (Jelapi P., Fruci G., De Dato P., Molinaro M.) che lo aiutavano a portare avanti il suo lavoro. Ha perfezionato il Mestiere durante il servizio Militare divenendo esperto in taglio e cucito e ciò l’ha aiutato tantissimo nello svolgere la sua attività
Non posso dimenticare le attività artigianali che, in pochi metri si ripetevano svolgendo tutte la stessa funzione.
Tre sartorie e tre calzolai e tra questi, bisogna ricordare anche il calzolaio Francesco Bretti che svolgeva il suo lavoro nel locale posto sotto la sua casa.
La Sartoria di Mastro Vincenzino Lo Russo, tra tutte, era quella che disponeva, forse, di maggiori commissioni lavorative. Il lavoro, infatti, era tanto, che spesso, per rispettare le consegne, chiedeva di sfruttare la macchina da cucire del suo collega, amico e vicino Antonio Buragina, anche lui sarto, la cui bottega seguiva proprio la sua. Antonio Buragina è poi emigrato in America e l’attività di sarto è stata portata avanti dal suo fedele discepolo Mastro Arcangelo Votta che, aggiunse all’attività principale di Sarto anche quella di Barbiere, che era pure più redditizia.
Antonio Buragina, oltre che un bravo sarto, era anche un buon musicante e per quest’altra sua passione era spesso deriso dagli amici.
Gli rimproveravano di avere imparato la musica con gli spartiti del Maestro Domenico Sgromo, anche lui musicista, che abitava al piano superiore della sua bottega, e che, la musica, la conosceva veramente.
Si raccontava che il Maestro Sgromo e Antonio Buragina erano separati da un solaio malconcio, costruito con la tecnica della travatura che prevedeva travi fissati tra due muri portanti.
Tra questi venivano chiodate delle spesse tavole (scandali) che reggevano a loro volta uno strato di calcinacci su cui venivano murati i mattoni della pavimentazione.
Certo è che tra mattoni rotti e calcinacci cadenti, i due ambienti casa-bottega, comunicavano a vista, attraverso le fessure aperte del pavimento.
Era proprio da queste fessure aperte che, al Maestro Sgromo cadevano gli spartiti musicali che finivano nella bottega di Antonio Buragina, il quale se ne impossessava e li studiava fino a riprodurli, col suo strumento musicale, al meglio.
Emigrò poi in America e di questo personaggio rimane una raccolta di poesie “Le Rimembranze” che, mi hanno raccontato, si possono trovare anche nella Biblioteca del Paese.
Una attività importante per quel periodo era la rivendita di pezzi di ricambio per moto e biciclette, che costituivano il mezzo di locomozione più diffuso nel paese; era gestito da Vito Mazza e dai suoi familiari.
Il negozio era per buona parte della giornata chiuso anche perché, i proprietari abitavano lì vicino e chi ne aveva necessità, poteva tranquillamente chiamare a gran voce un familiare che si rendeva subito disponibile a servire il cliente di turno.
Siamo ormai sulla strada che conduce a Gornelli.
Sulla destra un altro calzolaio: Mastro Giuseppe Senese che sfruttava, come quasi tutti, un locale di sua proprietà posto sotto la sua abitazione.
Non ti meravigliare se adesso non ti parlo del mestiere che svolgeva “Mastro Peppino”, ma preferisco parlarti del personaggio che è molto più interessante.
Lo faccio perché in questo caso, mastro Peppino più che un calzolaio, era un uomo impegnato nel sociale e in politica in particolare e che di politica, per lungo tempo si è interessato.
E’ stato infatti un fervente Socialista, segretario della sede locale del Partito nonché consigliere comunale negli anni ’50.
Ti sto parlando quindi di una persona erudita, cresciuto anche lui come tanti, sotto la scuola del “Maestro Sestito”, personaggio storico per Curinga, e dal quale ha ereditato la passione per le Lettere e per la Poesia in particolare, che lo hanno coinvolto tanto da indurlo a scriverne tante, esaltando in esse l’amore, l’onestà e il lavoro.
Arriviamo adesso nel regno dei Trappeti (Troppìti).
Vedi, in meno di 50 metri, ne esistevano due gestiti rispettivamente dalla famiglia Anania e dalla famiglia Perugino.
Se ben ricordi, ne abbiamo già incontrato uno vicino la chiesa Matrice e adesso, addirittura due a breve distanza l’uno dall’altro, e nel centro del paese.
Per capire meglio quanto ti sto facendo vedere ti devo parlare di quanto si produceva nella piana di Curinga e soprattutto di quanto offrivano le colline disseminate tutte di Uliveti.
Devi sapere che nella marina di Curinga e in gran parte della piana lametina, si coltivavano in massima parte Grano, Barbabietole, Lino, Granturco e Cereali che garantivano ai latifondisti, ai grossi proprietari e ai contadini, una buona fonte di sostentamento.
Tutto avvenne dopo la Bonifica della piana, per opera del governo fascista, che fece delle zone paludose della piana, una vasta distesa coltivabile e resa produttiva dai contadini curinghesi assieme a quelli dei paesi limitrofi come i sanpietresi, maidesi, nicastresi e sambiasini.
Si produceva in prevalenza Barbabietole che erano portate al vicino zuccherificio di Santa Eufemia, grano in quantità, trasformato poi in farina nei molti mulini esistenti anche in Curinga, e cereali, in genere, che erano usati in svariati modi.
Negli anni ‘60, le nuove tecniche di coltivazione e la chiusura dello Zuccherificio di Santa Eufemia, hanno indotto molti proprietari a cambiare tipo di coltivazione e gran parte del territorio fu dedicato alla coltivazione di ortaggi e frutta, da vendere ai grandi mercati del Nord e dell’Europa centrale.
Nel frattempo, la coltivazione dell’ulivo non veniva abbandonata ma veniva incentivata con nuove piantagioni, dislocati su tutto il territorio collinare dove vivevano i Curinghesi, Sanpietresi e Maidesi, paesi collinari, che hanno sempre fornito abbondante produzione di olio.
In ogni caso, Campolongo, estesa pianura in prossimità della Chiesa delle Grazie, era un serbatoio inesauribile di piante di Olivo, con piante secolari, ma nello stesso tempo molto redditizie.

L’evoluzione industriale che, condusse ai frantoi mossi da energia elettrica, creò un disorientamento in molti trappetani alcuni dei quali furono costretti a chiudere l’attività perché poco competitiva e molto meno redditizia rispetto a quelle di nuova generazione.
Curinga ne vantava parecchi e tra questi ti posso ricordare quello di Bevilacqua Ferdinando (Piano Bevilacqua); di Lo Scerbo Giovambattista (sotto Piano Bevilacqua); di Diaco Nicola (sotto Piano Bevilacqua); dei F.lli Perugino (Gornelli); di Panzarella Francesco e Giuseppe (Notar Cola); di Lo Russo Domenico (Piazza Duomo); di Anania Venanzio (Gornelli) ma, quello più antico di mia conoscenza era quello di Frijia Vito e Antonino che si trovava nei pressi di Via Tre Canali.
Mi è stato detto che è stato dismesso quando si è passati alla trasformazione con l’energia elettrica, ma io lo ricordo già dismesso, con una finestra semichiusa dalla quale era possibile vedere una grossa vite di legno, due colonne laterali che servivano come pressa di spremitura, e una grande vasca a tronco di cono all’interno della quale giravano le due ruote di molitura trainati dall’animale di turno.
Col tempo, l’interno era diventato una vera e propria discarica, anche perché il tetto non ha retto al logorio del tempo ed era completamente distrutto.
Oggi è stato ricostruito, ma con funzioni diverse da quelle originali; è, infatti, un garage.
Mi raccontavano che bisognava essere buoni amici dei frantoiani se si voleva ottenere un maggiore quantitativo di olio e di buona qualità, infatti, bastava limitare il tempo di molitura per lasciare la “pasta” più grossolana rispetto al dovuto, per ottenere poi, in fase di spremitura, una resa in olio minore.
I clienti quindi, erano ben serviti in base al livello di amicizia o di “riverenze” che porgevano durante l’arco dell’anno al proprietario frantoiano.
Prima di rientrare a casa, ti voglio fare vedere uno splendido panorama e il Santuario del Carmelo del quale mille volte mi hai sentito parlare in America.
Prima però ammiriamo questa statua e leggi anche tu la scritta, perché ha molto di significativo per noi che siamo stati emigranti, e per tutti quelli che al mattino si spostano per andare al lavoro fuori dal paese.
“Figlio qui mi son posta per esserti guida nel cammino sorreggere le tue speranze, consolare i tuoi dolori, come sol può fare Tua Madre.”
Questa bellissima frase è stata scritta da Don Vittorio Penna, nel 1954, quando il prelato fungeva da padre Spirituale per la Confraternita del Carmelo.
L’acqua di questa fontana, che vedi posta a fianco di questa bellissima statua, fresca e dissetante, ha servito negli anni chissà quanti curinghesi, che si fermavano per approvvigionarsi o semplicemente per far dissetare l’asino, suo fedele compagno di viaggio e di lavoro, quando si recavano o rientravano dal faticoso lavoro dei campi.