Dalla Pasticceria ai Grandi Magazzini Pacileo

Dalla Pescheria al Moka Bar

 Lasciamo ora piazza San Francesco e procediamo verso quella principale: Piazza Armando Diaz.
Di seguito alla macelleria in passato c’era una rivendita di pesce “a pischeria” mentre di fronte c’era la sartoria di Domenico Panzarella che svolgeva anche l’attività di barbiere.
L’interno era spazioso e conteneva un grande banco da lavoro, una macchina per cucire e in fondo la poltrona con tutto il necessario per poter svolgere il mestiere da barbiere.
Subito dopo vico Belle Donne la Tabaccheria di Pietro Piro che nel tempo si è arricchita diventando una fornita cartoleria nonché distributore dei testi scolastici e che si era trasferita dai locali ubicati di fronte, a piano terra del palazzo Serrao.
Sull’altro lato c’era, anche, il negozio di “Don Peppino Ciliberti” dove, com’era solito nei piccoli centri, si potevano acquistare dai tessuti agli articoli da merceria e addirittura Valori Bollati.
Il negozio era alquanto buio, con un grande banco vendita posto sul lato sinistro e una scaffalatura alta fino al soffitto “stipata” di stoffe, mentre una vetrina conteneva tutti gli altri articoli in vendita.
Era a don Peppino che bisognava rivolgersi per visto e passaporto necessari per partire alla volta delle Americhe.
Questo era considerato un grande servizio poiché erano molti in passato a dover emigrare per permettere una vita dignitosa alla propria famiglia.
Questo è quanto ho fatto anch’io circa cinquanta anni fa e mi ritengo fortunato perché, a differenza di molti, ho avuto la possibilità di mantenere unita la famiglia.
… Quanti sono partiti lasciando i figli in fasce per ritrovarli poi con la barba! …
 Dopo questo piazzuola, subito a destra, c’era un negozio di frutta e verdura che oggi potremmo dire il top nel suo genere per la qualità dei prodotti, era il negozio di don Bruno Russo.
Ricordo la fila dei clienti che aspettavano il loro turno mentre “Donna Maria” (moglie di don Bruno) con la voce squillante e le sue buone maniere riusciva in un battibaleno a servire senza far pesare molto l’attesa.
Ed eccoci in Piazza Armando Diaz, la piazza più importante del paese, il luogo dove s’incontravano braccianti, contadini e artigiani per contrattare il lavoro.
Ci s’incontrava per una partita a carte nel “Moka Bar”, o semplicemente dopo avere assistito alla messa della Domenica nella vicina Chiesa Madre.
Era il posto dove si aspettava la corriera per recarsi nella piana di Curinga sede delle grandi coltivazioni (grano, barbabietole ecc.) Ogni singola porta che si affaccia su questa Piazza, racchiudeva un’attività commerciale.
Il primo locale ospitava la barberia di Domenico Lo Russo, un ambiente indirizzato politicamente e pertanto l’argomento di conversazione, frequente durante l’operazione di rasatura, cadeva inevitabilmente sulla politica.
Proprio dal confronto delle idee che avveniva in questi luoghi, spesso scaturivano proposte che venivano poi riportate in consiglio comunale dove veniva deciso il futuro del paese.
Di seguito un negozio di generi alimentari particolare perché era l’unico che poteva fornire ogni sorta d’ingrediente per preparare i dolci in casa.  Era gestito da “donna Rosina a conara” che con professionalità e competenza, anche lei brava pasticciera, sapeva accogliere e consigliare al meglio i suoi clienti.
Come tutte le donne lavoratrici, anche donna Rosina non si concedeva un attimo di riposo e nell’attesa dei clienti le sue mani non stavano ferme … uncinetto e filo erano sempre a portata di mano.
Non perdere tempo era la sua caratteristica che si poteva evincere anche dal modo di camminare … “andava sempre di fretta”.
 Il “Moka Bar” era un locale all’avanguardia per gli anni ’50 perché provvisto da sala Biliardo separata dall’antistante locale principale dove si giocava anche a carte.
Dalle prime luci dell’alba chi si trovava in piazza, di passaggio o aspettando la corriera, era attratto dal profumo del caffè che si diffondeva tutto intorno.
Nel tempo si sono alternati diversi proprietari perché questo bar è stato gestito da Carnovale Michele, da Giuseppe Sgromo, da Michelangelo Ciurleo, da Vincenzo Anello per poi cambiare completamente tipologia d’uso.
Nei periodi floridi era molto frequentato e ricordo una nuvola di fumo che regnava sovrana nel suo interno nelle ore di tardo pomeriggio, soprattutto le domeniche, quando i giocatori di carte con uno stuolo di spettatori intorno, portavano avanti le loro partite per ore e ore … fino a tarda sera.
 La Cabina Telefonica, I grandi negozi Pacileo
 Subito dopo il bar ora segue una bottega di vino ma, ai miei tempi, c’era l’Ufficio del Dazio.
Come già ti avevo accennato, uccidere il maiale o vendere prodotti di propria produzione tipo il vino, comportava il pagamento di una tassa chiamata appunto dazio e qui c’era l’ufficio addetto a riscuotere.
 Il locale fu adibito poi a cantina e ancora oggi resiste. Caratteristica di questo esercizio commerciale è che d’estate i tavoli da gioco si trasferiscono sul marciapiede all’aria aperta e all’ombra delle case di fronte.
A seguire c’era la sartoria di Giuseppe Molinaro, ritornato al paese dopo aver trascorso parecchi anni in America.
Questa bottega è stata anche sede di posto telefonico pubblico, quando ancora Curinga non era servita da una rete telefonica. Questo era già un sistema innovativo rispetto al precedente “centralino” , quando bisognava prenotare la chiamata ed aspettare la risposta che avveniva poi in tempi relativamente lunghi.
Ricordo poi una enorme porta in legno sempre spalancata che ospitava le Corriere di Vito Mazza, ma era anche un’attrezzata officina per le riparazioni … un banco da lavoro sulla sinistra, una buca centrale per operare comodamente sotto la macchina in riparazione, attrezzi e pneumatici appesi alle pareti.
A seguire l’Emporio di Don Antonio Pacileo, il più fornito negozio non solo di Curinga ma di tutto il circondario.
Era il classico negozio con un buon rapporto qualità prezzo e pertanto era il riferimento per gli acquisti importanti. 
Oggi, lo puoi vedere anche da te, è divenuto un grande supermercato gestito sempre dalla stessa famiglia e comprendente anche quello che era l’ultimo locale della piazza: il negozio di generi alimentari di Don Andrea Pacileo (fratello di don Antonio).  
 Era un negozio stretto e lungo con un grande banco vendita disposto sulla destra e banco frigo frontale.
Sicuramente non aveva nulla da invidiare ai moderni supermercati tranne che per il self-service, ma fare la spesa o farsi preparare un panino era più umano, non mancavano i consigli sulla scelta dei prodotti ma neanche la cortesia di ringraziare.
Grandi contenitori di caramelle erano posti sul banco accanto alla bilancia. 
Non esisteva ancora la “cassa automatica” in uso nei negozi moderni, il conto veniva fatto con carta e penna e l’incasso depositato in un grande cassetto. 
Ricordo un “Bilico”, bilancia a portata superiore che veniva usato per pesare la farina. 
Era d’uso mescolare la farina doppio zero con quella macinata al mulino per preparare sia il pane ma anche la pasta “e casa” più nota come “fhilatiegghi”.
Se facciamo una sosta ti parlo della pasta di casa (li fhilatiegghi) di cui tanto in America mi hai sentito parlare e del grano seminato nella piana di Curinga che tante persone ha sfamato, soprattutto nel periodo di grande crisi economica; ci sediamo su quel muretto.
In marina la coltura più diffusa, assieme a quella delle barbabietole, era proprio quella del grano.
Nei vari appezzamenti di terra, di proprietà o di diritto di coltivazione, si producevano grandi quantitativi di grano.
 Dopo la preparazione del terreno, la semina e altre cure, il lavoro più impegnativo era soprattutto nei mesi di giugno e luglio con le operazioni di mietitura effettuata manualmente e trebbiatura.
Si formavano le squadre di mietitori con uno stuolo di donne per raccogliere i vari fasci che venivano accumulate sull’aia a formare dei grandi covoni.
Il giorno della trebbiatura, nonostante il gran lavoro sotto il solleone, era un giorno di festa per tutti i partecipanti tra cui parenti, amici e vicini, ognuno si adoperava a dare una mano e alla fine tutti a tavola; gli uomini alimentavano la trebbia, attraverso la grande bocca posta nella parte superiore, con i covoni che si riducevano man mano ingoiati dalla macchina che restituiva il grano dalle “manette”, cui erano addette le donne pronte con il sacco da riempire.
Altri erano addetti all’imballatrice che doveva essere fornita di fil di ferro per legare le balle di paglia.
Ai ragazzi era riservato il compito di offrire l’acqua a quanti erano occupati nel lavoro.
Altri tempi, oggi la mietitrebbia assolve a tutte le operazioni intermedie con un solo passaggio dalla mietitura alla trebbiatura.
Quando la trebbiatura era finita, i sacchi pieni di grano venivano portati a casa per poter eseguire l’ulteriore operazione di separazione del grano da eventuali prodotti estranei e solo successivamente veniva portato al mulino per essere macinato e finalmente adoperato per fare il pane e la famosa pasta di casa “i fhilatiegghi”.