Un Falegname, un Sarto e il Telaio
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Un Falegname, Il Telaio, un Sarto

Non percorriamo via Roma o “Sutta a Via” così com’è denominata dai Curinghesi, perché su questa strada, che io ricordi, c’era una sola attività artigianale ed era la falegnameria di Bruno Argantonio chiamato “Mastr’Argantuoni” e si trovava proprio lì, all’incrocio tra via Roma con “Vico Mastroianni”.
Mastru Argantuoni era un omone di animo buono e “di chiesa” sempre presente ad ogni funzione religiosa.
Disponeva di uno stuolo di apprendisti ognuno dei quali era addetto ad una particolare attività: chi preparava la colla, chi era esperto a scartavetrare, chi verniciava ecc.
Dalle mani del “Mastro” erano creati lavori pregiati in legno, eseguiti tutti con semplici utensili e con poche attrezzature elettriche.
Ricordo semplicemente due macchine azionate con la corrente elettrica: una Piallatrice, che fungeva anche da sega rotativa, e una sega a nastro costituita da due grandi ruote poste una sopra l’altra che trascinavano un nastro dentato per segare ogni tipo di legno.
Lavoravano in questa bottega anche i cognati Sgromo Vito e Sorrenti Giuseppe prima di aprire la loro bottega nel passo, della quale ti ho già parlato.
Era un “concorso d’opera” tra Fabbri, Falegnami, Vetrai, Muratori che accanto ai contadini e agricoltori portava avanti l’economia del paese.
Incamminiamoci adesso lungo il “Corso” principale di Curinga.
In questa Bottega “Catuojiu”, venivano prodotte coperte in seta, lenzuola, camicie di lino per donna, scialli colorati e asciugamani con frange di pregiato valore: questo era un laboratorio di tessitura.
La porta sempre aperta era chiusa con la “porteggha” che, alta circa un metro, aveva la funzione di mantenere una certa riservatezza, una sorta di cortina per separare il laboratorio dalla strada. L’attrezzatura consisteva oltre al Telaio (tilaru) che occupava buona parte del locale, in un orditoio (ordituri), l’arcolaio (animulu) e altri accessori come il fuso di ferro (fhusufhiarru), l’inchjituri, la navetta, i rocchetti (cannelle).
Si tesseva dall’alba al vespro per preparare “la dote” delle figlie femmine, ma si lavorava anche per terzi su richiesta.
Ai Telai lavoravano Donna Lucrezia, le sue sorelle e le nipoti e prima ancora di loro donna Concetta, madre di Donna Lucrezia, anch’essa grande esperta di tessitura.
La principale operazione di preparazione per la tessitura veniva effettuata dalle stesse tessitrici con l’orditura.
L’ orditura era una operazione complessa e basilare che determinava la buona riuscita del lavoro finito.

Tenuto conto di tutti questi fattori, bisognava scegliere la dimensione del pettine (numero di fili per centimetro), ed i singoli fili venivano tirati in numero stabilito per la lunghezza necessaria.
L'orditoio era l'attrezzo, presente in questo laboratorio, che permetteva di preparare l'ordito.
Consisteva in un certo numero di pioli di legno saldamente attaccati a una cornice di legno poggiata ad una parete e posti alla distanza giusta per ottenere la lunghezza necessaria.
Passando da un piolo all'altro a zigzag si otteneva la lunghezza mentre il numero di fili veniva stabilito dalla larghezza che si voleva ottenere.
Per capire l'ordine di grandezza: per ottenere la larghezza di cm 30 con una lana grossa ci vogliono diciamo 90 fili, per la stessa larghezza con una seta sottile passiamo alle centinaia.
Le tessitrici provvedevano anche alla colorazione dei tessuti finiti.
L’operazione veniva effettuata in casa e, prima dell’avvento dei coloranti chimici, si adoperavano prodotti naturali vegetali come melograno, Ginestra e acqua ottenuta fa Ferri fatti arrugginire in essa.
Il Sambuco e il Mallo di Noci venivano invece usati per segnalare sulle trame ordite la dovuta lunghezza (La Canna, circa due metri di ordito).
Resiste ancora qualche vecchio telaio nel paese ma, la professione di tessitrice è stata completamente assorbita dall’industria.
(Delle attività connesse con la tessitura del lino e della seta, te ne parlerò appena faremo una piccola sosta sul muro del passo. Potrò anche spiegarti l’arte del coltivare il Lino e allevare il Baco da Seta che in Curinga affiancavano le tradizionali coltivazioni del grano e del granturco.)
Allo stesso modo della barberia, quale luogo di ritrovo per gli uomini, il laboratorio con il telaio rappresentava il corrispettivo posto di aggregazione per le donne; le anziane si dedicavano alla filatura raccontando storie alle fanciulle che imparavano a cucire o ricamare.
Di seguito, alla porta accanto, c’era la fucina di un fabbro che lavorava soprattutto alla ferratura degli asini e dei cavalli, all’epoca, numerosi in Curinga.
Mastro Salvatore Sestito “Mastru Sarvaturi “era anche, assieme a suo fratello Francesco, l’autore di pregiate opere di ferro battuto come ringhiere per balconi o scale, serrature, saliscendi, tripodi, alari per il focolare e quant’altro che poteva essere realizzato in ferro.
Sento ancora l’odore acre delle unghie d’asino bruciate che subivano questa operazione necessaria per fare assestare meglio i nuovi ferri alle zampe dell’asino.
L’operazione si svolgeva all’aperto e il padrone dell’animale era quello deputato a sostenere la zampa nella giusta posizione ma, nonostante ciò, spesse volte capitava che qualche asino, non ben disposto, si mettesse a scalciare, mettendo a rischio l’incolumità dei passanti. La bottega era un continuo via vai di persone che, non necessariamente, avevano bisogno di nuove ferrature bensì di affilare coltelli, forbici o attrezzature come falci, scuri che servivano per il lavoro nei campi.
Per la ferratura dei Buoi da lavoro l’operazione non avveniva in bottega ma a domicilio, sia nelle campagne di Curinga sia nei paesi limitrofi.
Oggi in paese, non si eseguono più lavori del genere perché le macchine hanno interamente ed ampiamente sostituito i Buoi nell’opera di aratura e se qualcuno ancora resiste (forse in montagna), non saprei dirti dove si trova.
Questo locale all’angolo con il vicolo ospitava la bottega di calzoleria di Andrea Perugino.
Da esperto artigiano qual era, il sig. Andrea riusciva a rendere nuovo qualsiasi oggetto capitasse nelle sue mani, anche il più malridotto. Nelle sue mani ritornavano come nuovi anche i primi palloni di cuoio che, dopo ogni partita, erano sventrati al punto da somigliare ad una zucca bitorzoluta.
Produrre scarpe da calcio su misura era un’altra delle sue specialità lavorative, le costruiva su richiesta e per chi se li poteva permettere. In seguito la bottega cambiò destinazione diventando una Barberìa - Sartoria gestita da Peppinuzzu Pallaria che con professionalità riusciva ad espletare, com’era in uso allora, entrambe le attività: barba e capelli presso la bottega del sarto a cui era associata anche l’edicola per la distribuzione dei giornali.
Questa bottega è stata anche la sede sociale della prima squadra di calcio di Curinga: qua erano discussi i problemi della squadra e si sono svolte le elezioni dei primi dirigenti che si sono susseguiti negli anni 40-50.
Come ogni altra categoria di mestieri, questa bottega partecipava alla formazione della squadra dei “Barbieri che si affrontava con le squadre di altre categorie in tornei che, appassionavano e coinvolgevano tutti gli artigiani.
Tra i vari apprendisti del mestiere ricordo: Malacari Sebastiano, Giuseppe Gaudino, Lo Scerbo Giovambattista, tutti giovani imberbi.
E’ arrivato adesso il momento di fare una piccola Sosta sul Muro del Passo.
Facciamo adesso una piccola sosta su una panchina di Piazza Immacolata perché voglio parlarti della importanza che hanno avuto la coltivazione del Lino e l’allevamento del Baco da Seta, materie prime per le operazioni di Tessitura e la colorazione dei tessuti e dei filati.
Il lino

I semi di Lino non venivano usati per estrarre l’olio di Lino, ma venivano conservati per una successiva semina e una conseguente raccolta.
Si tratta di una pianta erbacea alta tra i 30 e i 90 cm con fusto eretto, molto fragile, ramificato nella parte finale con foglie tenere e semi.
Cresceva con facilità sul nostro territorio perché trovava un ambiente a clima temperato che favoriva il suo prolificarsi.
Quando il seme era maturo, si raccoglievano le piantine e, a mazzetti, venivano esposti al sole per farle seccare ulteriormente in modo tale che i semi si potessero facilmente separare dal fusto.
L’operazione veniva fatta per battitura avvolgendo i fasci secchi in lenzuola di canapa, riavvolti su loro stessi e battuti con un bastone di legno badando a non maltrattare il fusto.
Le piante così epurate dai semi, si facevano macerare in acqua stagnante per un certo tempo per poi essere nuovamente esposte al sole, farle asciugare e lavorarle in fasi successive con tecniche che adesso ti spiego.
Con una gramola (Attrezzo usato per maciullare e sfibrare il lino), si operava di forza fisica proprio per sfibrare il lino e ridurlo in fibre sempre più sottili.
Il Lino così sfibrato, si passava su un pettine (Cardo) fatto di chiodi alti e appuntiti, per riuscire a separare le fibre legnose dalle fibre tessili
così da ottenere il lino vero e proprio e la stoppa.
Nelle serate d’inverno le donne filavano il lino ed il filato veniva messo sull’ aspo e si ottenevano cosi le matasse che successivamente venivano messe in un pentolone con acqua e cenere sul fuoco per essere sbiancate.
In una fase successiva le matasse venivano lavate con acqua di fiume, fatte asciugare ben bene, per poi essere raccolte su delle cannule ed essere ordite.
La tela ottenuta dalla tessitura veniva (“Curata”) sbiancata bagnandola continuamente dopo averla stesa sui rovi e fatta asciugare dai raggi del sol leone.
Baco da seta
Un’altra attività che le famiglie praticavano, era l’allevamento del Baco da Seta che richiedeva pazienza e dedizione.
Chi si dedicava a questo tipo di allevamento, doveva disporre di un ambiente ad esso dedicato, sacrificando magari un ambiente di casa.
Il modo di allevare il Baco da Seta si svolgeva facendo compiere al Baco il ciclo vitale al chiuso, in locali più o meno riparati, riscaldati, attrezzati, dove si faceva giungere la quantità di foglia di gelso necessaria alla sua alimentazione.
Il suo primo stato è l’uovo deposto dalla farfalla (ogni femmina ne depone 400/500). Quando le uova vengono portate ad una certa temperatura si verifica la schiusa ed escono fuori piccolissime larve affamate.
Ogni larva compie quattro mute (cambio della pelle) e ad ogni muta corrisponde una fase di accrescimento.
Al termine della vita larvale, il baco cerca un sostegno a cui fissare il filo di seta per tessere il bozzolo che dopo 3-4 giorni è terminato.
Nel bozzolo, attorno a cui si avvolge per proteggersi dai predatori in una fase delicata che è quella della metamorfosi, compie una nuova muta e si trasforma in crisalide o pupa.
Dall’interno del bozzolo, esce quindi la farfalla, che non si nutre più e che non vola.
Femmina e maschio, appena uscite dal bozzolo si accoppiano poi la femmina depone le uova e dopo 10-15 giorni muore definitivamente.
Il Bozzolo è costituito da due proteine (Fibroina e Sirocina) e per ottenere la Seta, cioè la Fibroina, bisogna immergere il Bozzolo in acqua calda per far sciogliere la Sirocina (che avvolge la Fibroina).
Si spazzola poi il Bozzolo per trovare il capo filo, si aggancia ad un aspo che, girando, dipana la seta.
Da un Bozzolo si ottengono circa due chilometri di seta.