Testimonianza

Testimonianza da parte di un emigrato privilegiato che i tempi ricordati da Zio Peter li ha vissuti.

 

Non ho dovuto insistere per ottenere ospitalità in questo lavoro di mio fratello, il Prof. Ernesto Gaudino, che ringrazio di cuore per l’opportunità concessami di poter certificare, quale soggetto presente in tutti i ricordi di Zio Peter, la veridicità delle situazioni, della descrizione dei luoghi, dei personaggi che hanno popolato e che sono vissuti a Curinga negli anni ‘50/’60.
Posso farlo perché ne ho titolo, essendo nato nel 1940, in via Salita Martiri a ridosso di Piazza Immacolata dove ho abitato fino al 1956, quando alla mia famiglia fu assegnata una casa al Piano delle Aie;
Io c’ero e gli anni ’40, ’50, ’60 li ho vissuti da protagonista in mezzo alle strade e nelle botteghe, forge, falegnamerie, barberie, dove ho trascorso la mia infanzia e la mia prima giovinezza godendo dei benefici che queste attività mi offrivano.
Ho fatto il discepolo nella Barberia – Sartoria – Edicola di Peppino Pallaria dove potevo usufruire della lettura gratis dei miei fumetti preferiti, dei giornali sportivi, dei fotoromanzi; ho fatto il discepolo nella forgia di mio zio Vito “U Tonzu” per sfruttare la possibilità di costruirmi gli assi di ferro necessari alla costruzione del mitico carroccio e la “Vombara” per “U Pirruocciulu”; ho fatto il discepolo nella falegnameria Sgromo per la produzione delle ruote per il carroccio.
Ho, quindi, prima vissuto da protagonista la fine degli anni ’40 e gli inizi degli anni ’50 ed assistito, successivamente, ad un progresso lento ma inarrestabile di un mondo in cui alla durissima condizione di vivere si aggiungevano, come ricorda il Repaci di “Calabria grande ed amara”:
“La miseria nera, la fame spaventosa, la follia singola e collettiva, la malaria molesta, la dissenteria, la sfortuna, il malocchio, il demonio, il destino…., la morte liberatrice”.
Ho seguito passo, passo Zio Peter durante il suo percorso nel tempo e per le vie del mio paese, con il cuore pieno di commozione rivivendo, anche io da emigrato, i ricordi della mia infanzia e fanciullezza, assaporando antichi sapori, ascoltando i rumori familiari delle attività artigianali e della vita paesana, rivedendo, chiudendo gli occhi, scene di vita civile e religiosa mai dimenticate.
La mia vita da adulto l’ho vissuta altrove, ma gli anni trascorsi a Curinga sono rimasti per sempre impressi nel mio cuore e nella mia mente.
A quegli anni sono spesso ritornato con la mente perché sono stati per me anni importanti che hanno contribuito alla mia formazione di uomo onesto e rispettoso e che mi hanno consentito di rivendicare sempre e con orgoglio le mie origini di curinghese.
Ho avuto occasione di avvicinarmi ai luoghi, mai dimenticati, quando dal 1999 Al 2008, già Responsabile del Servizio Ispettorato Risk controlling di un importante Istituto di Credito, seguendo la sua inarrestabile politica espansionistica, ho frequentato Lamezia Terme dove l’Istituto aveva trasferito la sua Sede amministrativa.
In quel periodo ho avuto modo di frequentare Curinga, ma anche di tenermi aggiornato sulle vicende della comunità attraverso le notizie che Eugenio Sgromo, figlio di Pietro, consigliere di amministrazione del Credito Cooperativo Centro Calabria ed altri clienti di origini curinghesi dell’Istituto mi fornivano costantemente.
Ma seguendo Zio Peter per le vie e per le piazze di Curinga ho rivissuto i momenti felici della mia infanzia, quando assieme ad altri ragazzi della mia generazione scorrazzavo in lungo ed in largo sentendomi padrone del mondo ed attore su un palcoscenico affascinante.
Curinga in superfice e sottoterra, nel centro abitato, nelle periferie e nelle contrade più sperdute del territorio (Jencarella, Cacci o Croce San Salvatore, Agrosini, Zecca, Centone fino ai confini con i comuni di Jacurso e Girifalco dietro il monte Contessa dove, seguendo mio padre, si andava a caccia e poi a bere l’acqua fresca e salutare di Monte Covello) non avevano segreti per una ciurma di ragazzi nati durante il secondo conflitto mondiale o poco dopo, abituati alle privazioni ed ai pericoli che la guerra stessa aveva disseminato.
La vita non era quella di oggi, frenetica e complicata, ma scorreva più lentamente e si aveva la possibilità di viverla dando più importanza ai valori di amicizia, solidarietà nel rispetto delle leggi e degli altri.
Una generazione, la nostra, che si è cresciuta con mille stenti e con i sacrifici della famiglia che ha fatto di tutto per assicurarci un avvenire migliore quale riscatto sociale alla loro condizione a volte di indigenza e povertà.
Famiglie costituite per la maggior parte da contadini, piccoli coltivatori, ritenuti benestanti se riuscivano ad ottenere dalla terra posseduta i mezzi di sostentamento, coloni, proletari permanentemente indigenti, da artigiani che godevano di un certo prestigio, ma che la loro condizione era sopportabile se al mestiere veniva associata la coltivazione di piccoli appezzamenti di terreno da cui ricavare il fabbisogno per vivere.
I professionisti: medici, farmacisti, notai ecc. uscivano da un numero relativamente ristretto di famiglie la cui ricchezza era determinata dalla proprietà di grosse estensioni di terra coltivata prevalentemente ad uliveto, vigneto, seminativo e dall’allevamento di bovini, ovini, maiali ecc.
Queste erano le persone che hanno ricoperto le cariche amm/vo – politiche e che hanno esercitato un ruolo egemonico, non vi era spazio per le altre categorie di persone a cui veniva preclusa ogni possibilità anche per la mancanza di una adeguata formazione scolastica
La sesta classe elementare era per molti il traguardo massimo raggiungibile e rappresentava titolo di orgoglio e distinzione.
La fine della guerra, e la nuova Costituzione Repubblicana hanno aperto spiragli di speranza a queste famiglie che intravedevano, con la ripresa economica e la ricostruzione del paese, la possibilità di dare una istruzione ai propri figli e di vivere una vita migliore.
Le migliorate condizioni socio-economiche e le trasformazioni notevoli, soprattutto di natura culturale, hanno permesso di sognare e realizzare un avvenire migliore per i propri figli.
In questo ambiente quei ragazzi, che hanno vissuto il loro tempo nella spensieratezza e che la condizione ambientale aveva fatto crescere in fretta e diventare uomini in tenera età, hanno saputo sopperire alle carenze strutturali di una società, che aveva solo nella famiglia il suo punto di forza, inventandosi e realizzando tutto quello di cui un ragazzo aveva bisogno.
I giochi, le competizioni, la partecipazione ai discorsi dei grandi, che hanno sempre guardato con amore quei ragazzi che rappresentavano il loro futuro, e la libertà di movimento senza vincoli di tempo o territoriali hanno consentito di vivere nella spensieratezza al riparo delle brutture che la guerra aveva prodotto.
Zio Peter nel suo racconto al nipote, ricorda vie, piazze, negozi, botteghe artigiane, abitudini, storie, e non dimentica, illustrando i giochi, di dire che quei giochi erano l’unico passatempo dei ragazzi del tempo.
E quei ragazzi sono cresciuti per quelle strade, in quelle vie, a fianco di tutti quei personaggi descritti e nominati nei suoi ricordi, scrivendo anche loro parte di una storia che va ricordata.
Ne voglio ricordare alcuni e non perché fossero più importanti degli altri, ma perché associati a situazioni, avvenimenti caratteristici che aiutano le generazioni che hanno interesse ad indagare sul loro passato a capire meglio il contesto socio economico e storico di quegli anni.
Anche questo è storia.
 
Ricordo mio cugino Carlo Grasso, di un anno più grande, scomparso in giovane età, con il quale condividevo il letto costruito d’estate sugli alberi e la passione per il furto di ciliegie.
Dico furto perché pur avendo la possibilità di fare scorpacciate di questo frutto nelle proprietà di zio Vito “U Tonzu” a Trungari e a Riola, dove esistevano alberi da frutto di ogni specie, ci piaceva rubare quelle degli altri, con preferenza per una qualità dal sapore eccezionale che maturava tardivamente nella proprietà dei fratelli Sestito Francesco e Salvatore, fabbri, amici di famiglia, vicini di casa.
Era un ciliegio che produceva dei frutti di una squisitezza unica situato vicino al confine con la proprietà di zio Vito a Riola e che i proprietari, all’inizio della maturazione del frutto, ne circondavano il tronco di spine per rendere difficile la salita.
D’altra parte la presenza costante sul posto di mastro Francesco che coltivava nell’orto ogni ben di Dio, rendeva impossibile ogni nostro progetto di furto.
 Gli appostamenti e lo studio delle abitudini non lasciavano intravedere alcuna possibilità di successo, per cui non ci restava che accontentarci delle ciliegie di zio Vito, pure di qualità ottima, ma meno pregiate.
Erano scorpacciate infinite che il più delle volte ci provocavano delle diarree tremende che nemmeno la moderna enterogermina sarebbe riuscita a fermare.
Ebbene, la voglia ed il piacere di rubare le ciliegie di mastro Francesco ci costringeva a ricorrere a qualche stratagemma. Ma quale?
Finalmente dopo tanto pensare ecco l’idea.
Mastro Francesco andava in campagna con l’asinello che provvedeva a legare ad un albero con una corda abbastanza lunga per permettergli di pascolare.
Una mattina di buona ora abbiamo pensato di spostare l’asinello in un terreno lontano, nascondendolo alla vista del padrone in modo da sollecitarne la ricerca e provocare il suo allontanamento, per un po’ di tempo; il tempo necessario per portare a termine il nostro progetto di furto.
Così fu, mastro Francesco accortosi della mancanza dell’asino andò a cercarlo, lasciandoci campo libero.
Il furto è stato così effettuato senza che se ne accorgesse.
Ricordo ancora un ragazzo di cui mi sfugge il nome, ma da noi soprannominato “Menza libbra” per la sua leggerezza da peso piuma, caratteristica che diverse volte gli ha salvato la vita, quando, alla ricerca di ferro vecchio da vendere ai ricettatori per ricavarne qualche moneta da investire nell’acquisto dei fumetti preferiti, cadde a testa in giù da una briglia in corso di costruzione nel torrente Turrina, mentre tentava di smuovere un grosso ferro conficcato poco distante dalla sommità.
Per poterlo asportare un altro ragazzo lo teneva per le gambe e, quando ad un certo momento la presa venne a mancare, “Menza libbra” precipitò, a testa in giù, dall’altezza di due o tre metri cadendo tra i massi del laghetto che si era formato ai piedi della briglia stessa.
O quando, giocando a fare i Tarzan, su un ulivo secolare, nel passaggio da una ramo ad un altro, mancando la presa, precipitò a terra da una altezza considerevole.
Ricordo Malacari Sebastiano, mio antagonista nella corsa su circuiti scelti all’istante per scommessa o per dimostrare chi era il più resistente e il più veloce.
I circuiti erano sempre diversi:
Curinga: partenza piazza Immacolata, corso Garibaldi, via Roma, piazza Immacolata.
Curinga: partenza piazza immacolata, ponte, risalita fiume Turrina, Riola, piazza Immacolata.
Curinga: Campo sportivo, 10 – 20- 50- 100 giri di campo.
Lui era Bartali io Coppi.
Ricordo Anania Bonaventura, mio inseparabile compagno di giochi e di scuola alle elementari.
Era soprannominato “Rimitu della valle di Canne” per la sua costante ricerca di oggetti vari che il più delle volte metteva in bocca procurandosi per un paio di volte il tifo.
Ricordo Sorrenti Vincenzo, figlio della “Viola” poi emigrato in America al quale mi legava anche un rapporto di parentela per la comunanza di zia Rosaria sorella del padre e moglie di zio Vito, vittima delle nostre scorrerie nei suoi terreni di Trungari e Riola nel periodo primaverile ed estivo per raccogliere frutta, anche acerba, oggetto di posta nelle nostre partite a carte.
Non dimentico quando un giorno dopo aver fatto la nostra partita di carte, tranquilli sotto una pianta di prugne che doveva fornirci la quantità stabilita come posta, ci sorprese zio Vito e noi per non farci conoscere ce la siamo date a gambe.
Nella precipitosa fuga io ho perso un sandalo che mi costò una grossa punizione da parte dei miei genitori quando la sera, mio zio si presentò a casa con il sandalo che aveva riconosciuto come mio, chiedendo se per caso ero io ad averlo perso e dove pensavo di averlo perso.
A quel tempo non era difficile individuare un possessore di scarpe; non tutti le possedevano e quando si possedevano si preferiva andare scalzi per comodità e per non consumarle.
Ricordo Senese Francesco (Ciccio), figlio di Pietro, gestore della bettola situata in Corso Garibaldi all’incrocio con Salita Martiri.
Lo ricordo in modo particolare perché è mancato poco che diventasse una mia vittima per l’incoscienza e l’esuberanza dell’età.
La guerra era già finita da tempo, ma nel nostro territorio si rinvenivano numerosi proiettili inesplosi di mitragliatrice che noi ragazzi raccoglievamo e smontavamo pericolosamente ricavandone la polvere ed il bossolo metallico con il quale costruivamo delle pistole rudimentali assemblando un calcio ricavato da un pezzo di tavola su cui veniva applicato il bossolo stesso dopo aver praticato un piccolo foro a distanza di un centimetro dalla culatta.
Il bossolo veniva caricato con un po’ di polvere e con del pietrisco che aveva la funzione dei pallini.
Utilizzando dei fiammiferi di zolfo si dava fuoco attraverso il buco alle polveri ed il colpo partiva.
Non ricordo quale offesa “Ciccio” mi avesse fatto, gli puntai la pistola, accesi il fiammifero e sparai.
Quello che è successo è indescrivibile, la faccia del povero Ciccio era tutta piena di pietrisco e si è dovuto ricorrere al medico per la sua bonifica.
Ricordo Gregorio Senese (Gregorino) in relazione ad una sua trovata che ci costò una giornata di prigionia in un casolare di campagna.
Era il mese di Luglio, non ricordo quale giorno, ma era sicuramente particolare perché transitava, sulla statale 19, il giro d’Italia ed il passaggio dei corridori, sul tratto stradale Bivio Angitola – Ponte di Turrina, era previsto per il primo pomeriggio.
Avvenimento che il gruppo di ragazzi a cui io e Gregorio facevamo parte non poteva perdere; si trattava di poter vedere da vicino i nostri corridori preferiti, Coppi, Bartali, Magni.
Quindi di prima mattina, eludendo la sorveglianza dei genitori, ci incamminammo per raggiungere la statale e scegliere il posto migliore per goderci la corsa.
Siamo arrivati sul posto nella mattinata e come sempre accadeva in queste circostanze per impiegare il tempo che ci separava dal passaggio dei corridori ce ne siamo andati in giro per il torrente Turrina nella speranza di pescare qualche anguilla, in quel tempo abbastanza numerose.
La pesca non è stata proficua e quando i morsi della fame cominciarono a farsi sentire pensammo di andare a trovare qualche albero da frutta e soddisfare i nostri stomaci.
Senza alcuna esitazione Gregorio si offrì di condurci in un terreno di sua proprietà.
Ci trovammo di fronte ad un albero di fico carico di frutti maturi che ci invitava ad un consumo continuo.
Alcuni di noi, tra cui io, ci eravamo sistemati sull’albero mentre gli altri erano rimasti a terra da dove era anche possibile raccogliere i frutti.
Ignari e sicuri gustavamo quelle delizie, quando si presentò un uomo con un bastone lungo e nodoso, che minaccioso ci invitava a scendere dall’albero.
Quelli che erano a terra, compreso Gregorio, che sapeva dell’inganno, se la diedero a gambe, mentre noi che eravamo sull’albero, tranquilli e sicuri chiedevamo a Gregorio di presentarsi e farsi conoscere, ma Gregorio era già lontano.
Quel contadino che era il vero proprietario del terreno, sotto la minaccia del bastone, ci prese e ci chiuse in un casolare.
Vani sono stati i chiarimenti, il terreno non era di proprietà di Gregorio ed io e l’altro ragazzo siamo rimasti chiusi fino a sera, quando il contadino, terminata la sua giornata di lavoro, ci liberò avvertendoci che avrebbe informato i nostri genitori dell’accaduto.
I Corridori erano passati, gli amici che erano riusciti a scappare erano tornati tranquillamente a casa, mentre a me e all’altro ragazzo ci spettava la punizione dei nostri genitori.
Ricordo Paonessa Antonio, detto Malenkov per la somiglianza allo statista russo ma soprattutto per la sua voracità.
Riusciva a mangiare centinaia di fichi d’india o grosse quantità di qualunque specie di frutta anche non giunta a perfetta maturazione.
Ricordo Cirianni Nicolino, infallibile nel tiro con la fionda.
Riusciva a colpire gli uccelli in volo e nelle gare effettuate nella caccia alle lucertole era quello che ne uccideva più di ogni altro.
Ricordo i miei fratelli, Antonino ed Ernesto, il primo scomparso prematuramente in giovane età, il secondo autore del Racconto di Zio Peter, di qualche anno più giovani di me e pertanto miei discepoli ed aiutanti nelle scorribande estive sulla spiaggia di Curinga dove tutti gli abitanti si trasferivano, vivendo   in baracche di tavole o in capanne ricostruendo sulla spiaggia nuclei familiari ed amicali che divenivano centri di incanto e spensieratezza.
Ricordo quando un giorno, per soddisfare la richiesta di un turista che ogni anno trascorreva le vacanze sulla nostra spiaggia ed al quale a fronte di un corrispettivo di cinque o dieci lire a seconda della quantità fornita, dovevo fornire settimanalmente un numero imprecisato di rane, ci recammo alle foci del torrente Turrina per provvedere alla pesca.
Non era difficile, il torrente era come la pesca a mare, zona molto pescosa e la richiesta continua per tutta l’estate poteva essere soddisfatta tranquillamente.
Fu in questa occasione che accadde un fatto strano:
Mentre io e mio fratello Ernesto stavamo pescando le rane si avvicinano due uomini che con tono minaccioso ci invitavano a fornire loro le autorizzazione per la pesca.
Era un pretesto per farci allontanare, la richiesta era fuori luogo trattandosi di ragazzi in costume da bagno che però risposero con una fuga da centometristi.
Non ci allontanammo molto per cui abbiamo avuto la possibilità di assistere a cosa stessero facendo nel torrente.
Capimmo che quelle persone stavano   avvelenando il corso d’acqua per fare emergere dal fango le anguille che stordite potevano essere catturate più facilmente.
Aspettammo fino a quando quelle persone, soddisfatte della pesca si allontanarono.
Nel frattempo io avevo mandato mio fratello Ernesto alla baracca a prendere un recipiente e la tenaglia adatta alla cattura delle anguille.
Riempimmo una vasca di zinco di anguille che distribuimmo a tutto il vicinato.
Per ultimo mi piace ricordare due persone che hanno avuto molto importanza.
Il primo l’esattore Pietro Gullo, datore di lavoro di mio padre, padrino del mio compianto fratello Antonino e mio finanziatore.
Ogni volta che gli portavo il giornale, che l’edicola Barberia sartoria di Peppino Pallaria, dove io prestavo servizio nel tempo libero dagli impegni scolastici, forniva giornalmente, mi omaggiava di una, due, cinque lire che io investivo nell’acquisto di fumetti, coltelli, tagliole.
Il secondo Sandro Garofalo, a quel tempo studente universitario, successivamente avvocato e magistrato presso il tribunale di Lamezia Terme, al quale debbo riconoscenza eterna per avermi instradato allo studio dopo un primo tentativo fallimentare che aveva costretto mio padre ad affidarmi a qualche buon artigiano per l’apprendimento di un mestiere, perché la scuola non faceva per me.
(Questa era stata la sentenza emessa da un professore di fama dopo un periodo di preparazione per l’esame di ammissione alle scuole medie)
Questi i ragazzi, nati negli anni ’40 o poco prima, con i quali ho condiviso la mia infanzia e la mia prima giovinezza, tutti diventati professionisti di valore, occupando nel tempo posti di rilievo nel mondo della scuola, della medicina, della magistratura, della Chiesa, della cosa pubblica.
Anania Bonaventura, Avvocato - Attanasi Basilio, Rappresentante di Commercio - Attanasi Fortunato, Pittore - Bretti Giuseppe, Professore di Lettere - Calvieri Giovambattista, Prof. Di Arte e Immagine - Cefalì Pietro, Avvocato, - Cirianni Nicolino, Ing. Minerario - Cuda Aldo, Medico di Base - Curcio Michelangelo, Calzolaio, emigrato in Svizzera - Diaco Nicola, Maestro elementare - Fruci Franco, Prof. di Lettere - Furciniti Vincenzo, Rag. Segr. Scuola Media - Granata Martino, Maestro elementare - Granata Sebastiano, Sarto - Gugliotta Antonio, Pittore, emigrato in Piemonte - Gullo G. Battista, Esattore - Lo Russo Andrea, Commercialista – Lo Russo Carlo, Commercialista - Lo Russo Giampaolo, Medico – Lo Russo Domenico, Chirurgo plastico, medico sociale Fiorentina - Lo Russo Paolo, Dipendente Aeroporto Lamezia Terme - Malacari Sebastiano, Sarto, Barbiere - Marongelli Silvio, Autonoleggiatore, Mazzotta Pino, Professore Universitario in America, Mazzotta Guido, Mons. Prof. Università Urbaniana - Mazzotta Lorenzo, Prof. di Latino e Greco - Paola Annibale, funzionario Inail - Perugini Basilio Carlo, Maestro elementare -Senese Elia, Prof. di Matematica - Senese Francesco, Rag. Segr. Scuola elementare - Senese Francesco, Prof. di Lettere –. Senese Gregorio, Rag. Sindacalista - Sgromo Bernardo - Ing. Prof. - Sgromo Vittorio, Prof. di Filosofia - Zimatore Giuseppe, Cardiologo.
 Alcuni di loro non ci sono più, ma il ricordo del tempo trascorso insieme è rimasto, per sempre, impresso nella mia memoria.
Molti altri andrebbero ricordati e me ne scuso, anche questi si sono fatti valere nelle loro attività sia nel borgo natio che altrove nel mondo, comunque sempre distinguendosi per bravura, genialità, forza di volontà, attitudine a ricoprire cariche importanti nel Paese Ospite.
Giuseppe Gaudino